Il paziente cardiopatico dal dentista

Quali precauzioni prevede il trattamento del paziente cardiopatico dal dentista?

L’allungamento dell’aspettativa di vita, nonché il progresso in campo medico, hanno fatto sì che ad oggi i soggetti che si sottopongono a procedure odontoiatriche siano spesso pazienti complessi, con varie patologie e terapie in atto.

Conseguentemente sono state stilate delle linee guida che indicano come questa categoria di individui debba essere gestita al fine di evitare spiacevoli complicanze dopo particolari interventi.

Nei prossimi paragrafi verranno prese in considerazione alcune condizioni che richiedono particolare attenzione da parte del dentista.

Cosa fare in caso di rischio di endocardite infettiva

L’endocardite è una patologia che colpisce il tessuto di rivestimento interno del cuore e delle valvole cardiache, l’endocardio appunto, e che è causata da alcuni batteri particolari, tra cui

  • Streptococco viridians che risiede nella bocca, nella faringe e nelle vie respiratorie superiori;
  • Stafilococco aureus, che è invece normalmente presente sulla cute.

Vi sono alcuni trattamenti dentistici, tra cui quelli che prevedono la manipolazione del tessuto gengivale o della parte apicale del dente, così come interventi su sedi infette o che comportino la perforazione della mucosa, che possono favorire l’entrata nel circolo sanguigno dei batteri stessi, con il rischio che questi raggiungano anche il cuore.

Così, sono state individuate alcune categorie di pazienti in cui è bene fare almeno due ore prima dell’intervento una somministrazione antibiotica, in cui sono inclusi i soggetti che:

  • abbiano già avuto un episodio di endocardite;
  • siano affetti da cardiopatia cianogena, cioè che ha come conseguenza un basso apporto di ossigeno in periferia, non operata;
  • abbiano subito la sostituzione di una valvola con una protesi;
  • siano stati trapiantati di cuore;
  • si siano sottoposti alla riparazione chirurgica o transcutanea di difetti del cuore.

Indipendentemente dalla condizione clinica del paziente, è bene però tenere presente che qualsiasi trattamento svolto nella cavità orale può associarsi all’immissione nel sangue di una quota di batteri e che perciò è buona norma effettuare sempre un’adeguata igiene orale al fine di mantenere a livelli minimi la quantità di microbi messi in circolo.

Rischio post-operatorio per il paziente cardiopatico

Il paziente cardiopatico ha un certo rischio di complicazioni dopo qualsiasi tipo di intervento chirurgico.

Nel caso delle procedure odontoiatriche, questo rischio è solo dell’1%, perciò se il paziente ha una malattia del sistema cardiovascolare ma è stabile, non deve sottoporsi a particolari test prima di eseguire un trattamento.

Se al contrario si tratta di un paziente instabile, con una maggiore probabilità di infarto o morte cardiaca a 30 giorni dall’intervento, allora sarebbe bene richiedere prima un elettrocardiogramma o un ecocardiogramma, a patto che non si tratti di un’operazione in urgenza dove l’odontoiatra può decidere di intervenire comunque tenendo presente i pericoli e quindi monitorando più attentamente il soggetto.

L’anestestia in caso di ipertensione arteriosa

L’anestesia, che viene utilizzata durante alcune procedure per poter operare senza che il paziente provi dolore, correla anche in soggetti sani ad un aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa.

Inoltre, spesso, l’anestetico viene combinato con una dose di adrenalina, che riduce il sanguinamento in corso di intervento e aumenta la durata dell’anestesia stessa.

Tuttavia, nel paziente cardiopatico che già soffre di ipertensione, cioè che ha di base una pressione più elevata e che potrebbe essere trattato con dei medicinali per tenerla sotto controllo, questa associazione tra anestesia e adrenalina può provocare una minore risposta ai farmaci anti-ipertensivi nonché a vere e proprie crisi dovute all’elevazione della pressione sanguigna.

In queste situazioni, benché non esistano delle vere e proprie linee guida che obblighino il dentista a comportarsi in un certo modo, in genere viene consigliato l’utilizzo dell’anestetico senza l’adrenalina e di monitorare attentamente e in maniera continuativa la pressione del paziente così da intervenire prontamente in caso di brusche variazioni.

Cosa fare se il paziente prende anticoagulanti

Oggi gli anticoagulanti sono una delle terapie croniche più utilizzate, specie nei pazienti più anziani.

Questi farmaci aiutano a mantenere il sangue più fluido, ma al tempo stesso aumentano il rischio di emorragie quando è necessario fare degli interventi.

Non esistono tuttavia indicazioni vere e proprie alla sospensione di questi medicinali quando è il momento di fare un intervento odontoiatrico, ma è possibile mettere in atto una serie di azioni volte alla riduzione del rischio di sanguinamento durante la procedura, tra cui:

  • minimizzare il trauma chirurgico;
  • utilizzare fili di sutura che si riassorbano da soli;
  • comprimere la sede di intervento con una garza per almeno 15-20 minuti, favorendo così il normale processo di guarigione della ferita;
  • utilizzare dei farmaci applicati localmente che favoriscano la coagulazione;
  • non utilizzare farmaci antinfiammatori nei giorni successivi all’operazione, poichè alcuni di essi hanno azione anticoagulante.

In linea di massima, quindi, il dentista ha il compito di eseguire sempre un’adeguata raccolta di informazioni dal proprio paziente prima di ogni intervento, dopodichè starà a lui decidere quali siano le misure più adatte, basandosi sia sulle indicazioni emerse dai vari studi sia sul buon senso e il rischio relativo del singolo individuo.

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Responsabilità dei contenuti
Supervisione editoriale e scientifica – Dr Antonio De Marchi – Specialista in Ortodonzia, Gnatologia, Estetica dentale, Pedodonzia
Redazione dei contenuti medici: InClinic

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